Mauro Ghiselli

Che cosa può accomunare Barak Obama, un Medical Drama americano e il compianto David Sassoli?

Un bravo leader, così come un bravo manager, un bravo consulente e forse anche un bravo cittadino sono spesso caratterizzati dalla voglia di imparare sempre qualcosa di nuovo. E le vite degli altri (reali o immaginarie) sono una fonte spesso sorprendente e comunque inesauribile.

In quest’ultimo periodo mi è capitato per caso di assistere da spettatore a diversi modi di interpretare la leadership, tutti “esemplari” nella loro semplicità, tutti – a ben vedere – uniti da filo conduttore che, come tale, regala uno spunto per riflettere e per imparare qualcosa.

In una divertente intervista del 2018 (https://nowthisnews.com/videos/politics/barack-obama-on-how-governing-is-similar-on-every-level) Barak Obama racconta, in modo brillante, come il “segreto” per essere efficace in un’azione di governo sia in realtà sempre lo stesso, dai consigli di quartiere fino al G20: fare sì che i tuoi interlocutori si accorgano di avere un interesse comune (lo stesso tuo) e fare in modo che quel gruppo di persone, formatosi attorno a quell’interesse, ti supporti e ti spinga verso ciò che è importante per tutti. Obama parla di “potere” (power) per potere realizzare le cose (in quanto leader) come di una forza collettiva, non individuale: tutti noi insieme, verso un obiettivo che, abbiamo capito, ci accomuna.

Da poco ho iniziato a vedere uno dei molti Medical Drama di produzione americana (New Amsterdam). Il racconto si snoda attorno al percorso professionale e di vita di Max Goodwin, un giovane direttore medico dallo stile originale che viene catapultato a dirigere uno degli ospedali pubblici più importanti degli Stati Uniti – nel contesto di un “privatissimo” sistema sanitario americano –, in piena 1st avenue a Manhattan. Il primissimo giorno, subito dopo avere licenziato in tronco un intero reparto per comportamenti non etici, esordisce con un sorridente “How can I help?”. Quello che in quel momento appare come una semplice trovata narrativa (la mano di ferro e, insieme, il guanto di velluto) si rivela poi la sua vera “cifra” nel condurre una macchina organizzativa complessa e nel gestire le relazioni con le persone che la animano. Quel “Come posso aiutare?” racchiude ed esprime uno stile di leadership personale e apparentemente originale: una proiezione verso l’altro, insieme, pragmatica negli intenti, empatica nelle modalità ed etica come scelta di vita.

Qualche settimana fa mi ero soffermato ad ascoltare il saluto rivolto a David Sassoli dalla giornalista Elisa Anzaldo a nome di tutti i colleghi del TG1 (https://www.youtube.com/watch?v=GR8ET7j4OJI). Attraverso le parole degli amici di una vita ho conosciuto per un attimo un uomo speciale, descritto come un leader nel pensiero così come nell’azione, riconosciuto e apprezzato da tutti. Tra le molte cose dette, una mi ha colpito in modo particolare, una sorta di principio ispiratore della sua vocazione: “Il problema degli altri è il mio problema e risolverlo insieme è la politica”. Anche in questo caso la leadership è evocata non come tratto di un individuo, o come un talento o un’azione di un uomo sugli altri, ma come mezzo per realizzare le cose giuste, attraverso un legame tra persone o con persone (il leader, appunto, e il “suo” gruppo).

Tre ispirazioni provenienti da grandi uomini (uno immaginario, lo so) e da grandi leader nel loro ambito, tutti accomunati da un’interpretazione del proprio ruolo votata al servizio concreto degli altri ed esercitato insieme agli altri, traendo traiettoria e forza dai loro bisogni, in un’azione che non può essere che comune, come una vera squadra.

Occhio grigio-rosso

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