Il 2024 è stato un anno di transizione, segnato da trasformazioni del mercato del lavoro, diffuse riflessioni sul futuro e frequenti cambiamenti all’interno delle organizzazioni. Le direzioni HR sono state impegnate a trovare soluzioni, in un panorama difficile e in continuo mutamento, a sfide complesse in un contesto di incertezze globali. I dati e le ricerche di settore sull’organizzazione del lavoro nel nostro Paese, infatti, evidenziano come le aziende stiano affrontando difficoltà mai viste prima, dovute tanto a fattori economici quanto alle nuove esigenze delle persone all’interno delle realtà aziendali.

Dall’ osservatorio di Glasford-EOS, guardando alle progettualità in corso in ambito Employer Branding, i bisogni manifestati con maggiore frequenza dalle aziende nel 2025 all’interno delle progettualità svolte, sono rappresentati soprattutto dalla necessità di migliorare la comunicazione interna (55%), da quella di tradurre concretamente il purpose e la mission aziendale in una Employer Value Proposition coerente e solida (68%), dalla necessità di promuovere una maggiore riconoscibilità dell’azienda verso il mercato esterno e una migliore reputazione  come employer di valore (45%) e, infine, dalla possibilità di vivere all’interno di un’organizzazione che dà spazio ed espressione alle diverse visioni e si impegna per avere un impatto positivo sulla società (39%).

Queste priorità non si limitano a semplici obiettivi comunicativi o di mero “make up”, ma rispecchiano un cambiamento profondo che le aziende sentono di dovere affrontare con convinzione crescente per rimanere competitive e attrattive.

Proprio perché gli elementi che concorrono nel determinare una employee experience complessivamente positiva sono numerosi e si estendono lungo l’intero arco della vita lavorativa, le organizzazioni, per quanto ben disposte, si trovano spesso disorientate e incerte sulle azioni da intraprendere. Scendendo nello specifico sul tema del wellbeing, se per il 53% dei dipendenti gli aspetti legati all’impatto del lavoro sul proprio benessere psico-fisico e alla gestione dello stress lavoro-correlato sono prioritari nella valutazione dell’esperienza lavorativa (arrivando al 62% tra le generazioni più giovani), solo una percentuale ridotta (25%) ritiene che il proprio datore di lavoro sia impegnato a sostenere concretamente il benessere dei collaboratori.

Il clima di complessità e crescente incertezza che sta caratterizzando questo avvio di anno, non sta che acuendo la sensibilità delle persone nei confronti del benessere e della cura della persona anche sul luogo di lavoro. A fronte di un’occupazione ai massimi storici (l’ISTAT riporta un tasso di occupazione al 62,8%, il valore più alto da vent’anni), i primi mesi del 2025 stanno mostrando come le persone siano sempre più attente nel valutare i benefit presenti in azienda, nel 38% dei casi ritenuti determinanti nella scelta di un employer.

Ma c’è una sfida ancora più alta, di carattere culturale: il benessere e più in generale la ricerca di un nuovo equilibrio diventano un fattore chiave per la sostenibilità non solo della motivazione, ma anche della performance nel tempo.

Il benessere aziendale è un asset strategico per la crescita. Studi recenti dimostrano che un ambiente di lavoro sano e inclusivo ha un impatto diretto su produttività, engagement e retention dei talenti. Secondo un’indagine Confindustria, il 74% delle aziende ritiene che il benessere dei dipendenti sia un fattore critico per la performance complessiva. Un report di BCG evidenzia come le aziende con elevati livelli di benessere organizzativo abbiano un turnover inferiore del 30% rispetto alla media.

Gli effetti misurabili del benessere aziendale emergono chiaramente dai dati: il 50% dei lavoratori ha vissuto episodi di burnout, con conseguenze dirette su produttività e morale, mentre un ambiente lavorativo che promuove la sicurezza psico-fisico aumenta l’engagement del 76%. Un’organizzazione che integra strategie di wellbeing può ridurre l’assenteismo fino al 41% e migliorare la performance aziendale del 20%.

Le aziende più avanzate adottano un approccio sistemico al benessere, che include: gestione dello stress, flessibilità lavorativa e sviluppo di una leadership empatica. Il ruolo delle key people è cruciale: l’80% dei dipendenti riconosce il proprio responsabile come il principale influencer del clima aziendale. La formazione manageriale sul wellbeing si rivela quindi un fattore determinante per creare ambienti di lavoro più motivanti e produttivi.

Investire nel benessere aziendale non è più un’opzione, ma una necessità strategica. Le aziende che lo fanno registrano un incremento delle performance, una maggiore capacità di attrarre talenti e una riduzione dei costi legati al turnover. Il benessere è un asset misurabile e strategico che, se gestito correttamente, genera vantaggi competitivi concreti e duraturi.

Focalizzando l’attenzione sui giovani, le aziende sono chiamate a confrontarsi con una nuova generazione di lavoratori estremamente consapevoli, esigenti, impazienti di adottare tutte quelle forme di innovazione e cambiamento che migliorano l’impatto sui risultati, e inclini a cambiare il proprio datore di lavoro se non soddisfatti rispetto alle proprie aspettative in tema di work-life balance e di benessere personale, ma anche di adesione ai suoi valori, così come di opportunità di crescita, di carriera e di coinvolgimento sincero in progetti e iniziative di trasformazione. Gli obiettivi professionali delle persone si muovono oggi su una molteplicità di livelli, presentando una maggiore complessità e varietà rispetto a priorità e ambizioni personali rispetto al passato. Per questo, è bene che le organizzazioni sappiano visualizzare tale complessità e gestirla adeguatamente impegnandosi in un dialogo sempre aperto con candidati e lavoratori. Oggi occorre saper dare risposte di senso alla domanda: “che valore ha questa esperienza per me oggi e per il mio futuro?”

 

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